Se qualcuno vi parla di carne e formaggio vegetale state certi che si stanno riferendo a seitan e tofu.
Il mercato del cibo naturale e vegetariano presenta infatti questi due alimenti paragonandoli strettamente ad un corrispettivo comunemente noto dell’alimentazione “tradizionale”, passatemi il termine, paragone che a ben vedere reca un errore concettuale di fondo.
Con seitan e tofu non si tratta di introdurre in cucina una “finta carne” né un “finto formaggio”, ma alimenti vegetali altamente proteici che hanno identità ben precisa e definita e che sono da considerarsi ingredienti base per molte pietanze, piuttosto che surrogati di altre.
Anzitutto l’origine di questi alimenti è antica.
I natali del tofu sono cinesi e si pensa che la sua scoperta possa essere datata già dal II secolo a.C. nel sud della Cina — dove i fagioli di soia erano annoverati fra i 5 alimenti sacri con miglio, frumento, riso e orzo — per raggiungere il nord del paese nel secolo seguente, anche se la sua composizione probabilmente differiva da quella odierna. Successivamente si espande nei territori attigui fino a raggiungere il Giappone, dove viene introdotto nel VII secolo d.c., quasi certamente assieme alla religione buddista. In Occidente arrivò molto più tardi nel XVIII secolo, quando si intensificarono gli scambi commerciali con l’Oriente.
Dall’elevato apporto proteico, è uno degli alimenti più diffusi in Asia e in estremo Oriente.
Il tofu si ottiene mediante cagliata del siero di soia, per questo motivo è idealmente accostato al formaggio, di cui ne ricorda il colore e alcune consistenze, per esempio quella del quartirolo, del primosale e di alcuni spalmabili. Dal punto di vista organolettico del sapore invece, il tofu naturale non ha né l’odore né il gusto del formaggio, piuttosto è un alimento neutro, tendente allo sciapo che può assumere retrogusto lievemente amarognolo.
Si produce lasciando i fagioli di soia a bagno in acqua per alcune ore, poi si scolano, si frullano e si cuociono in pentola con acqua per alcuni minuti. A questo punto si filtra il composto e il liquido ottenuto è il famoso “latte” di soia che opportunamente cagliato e riposto in contenitori a parallelepipedo darà luogo al tofu.
A seconda del caglio che verrà aggiunto al siero, si otterrà una consistenza diversa di tofu. Generalmente il caglio più usato in Giappone è l’alga nigari che ha elevata concentrazione di cloruro di magnesio, mentre in Cina è più frequente l’uso di cloruro di calcio.
E’ un ingrediente perfetto da condire a piacimento nelle ricette più fantasiose, sia dolci che salate. Privo completamente di colesterolo, 100 g di tofu equivalgono a 145 kcal, e contengono mediamente 340 mg di calcio, 146 di potassio e 231 di fosforo.
La storia del seitan, detto anche il cibo di Buddha, è successiva a quella del tofu ma risale assai indietro nel tempo fino alla Cina del VI secolo quando i monaci Buddisti, alla ricerca di una valida alternativa al tofu, risciacquando un impasto di farina di grano riuscirono ad eliminare l’amido e la parte solubile, ottenendo così un composto spugnoso simile al tofu che chiamarono Kofu. Il preparato a base di glutine arriva in occidente soltanto nel XVIII secolo. Per primi i Giapponesi svilupparono la ricetta che conosciamo oggi: si impastano acqua e farina, si forma una palla e la si ripone a mollo in acqua per alcune ore; poi, per separare l’amido dal glutine, si lava ripetutamente fino ad ottenere una massa di glutine che viene bollita in un brodo di verdure, aromi, alga kombu e salsa di soia per acquistare sapore e sostanza.
Sempre dal Giappone arriva il suo nome attuale seitan, parola coniata nel 1961 da un allievo di George Ohsawa, fondatore della dieta filosofica macrobiotica – seitan significa letteralmente “è proteina”.
Ed è questa la caratteristica che accomuna il seitan alla carne: 100 g di seitan corrispondono a 168 kcal e 36 g di proteine, 100 g di bistecca di manzo corrispondono a 224 kcal e 24 g di proteine. La differenza sostanziale è data dai grassi, inesistenti nel seitan e presenti in gran quantità nella bistecca, e dalla qualità delle proteine che nella carne sono di alto valore biologico mentre nel seitan sono carenti di alcuni aminoacidi essenziali, in particolare la lisina.
Le operazioni di marketing intorno ai prodotti seitan e tofu cavalcano questa similitudine con carne e formaggio, spingendo più sul paragone qualitativo che sulle caratteristiche proprie dei due alimenti che invece, come dicevamo, sono ben definite, non un surrogato di “altro”.
E’ chiaro che il paragone, in qualche maniera, è suggerito dalla necessità per vegetariani e vegani di un apporto proteico adeguato in sostituzione di quello derivante da cibi animali. Tale confronto si basa sia sulla quantità di proteine assimilate nei pasti, che sulla qualità delle stesse.
Per quanto concerne la quantità, be’ i vegani dovrebbero stare tranquilli perché l’apporto proteico di una dieta vegana variata, dove compaiano semi oleosi, cereali in chicco, alghe, legumi, tofu, tempeh, seitan, ecc. è più che sufficiente! Tuttavia, benché in linea generale sia stabilito che l’apporto corretto è pari a 1g per chilo di peso corporeo (ossia 50 kg di peso = 50 g di proteine al giorno), tale quantità aumenta in alcuni casi (età evolutiva, gravidanza, lavori pesanti, sport, ecc.) e dipende strettamente anche dall’indice di massa grassa/magra, perciò è bene farsi seguire da uno specialista in caso di alimentazione ristretta.
Il discorso si complica invece sulla qualità delle proteine assimilate. Le proteine vegetali sono accusate di essere carenti di lisina, calcio, ferro e B12. E in parte è la verità (vedi questo post), ma se osserviamo il mondo vegetale attentamente notiamo come esso ci riservi alcune sorprese.
Per quanto concerne la lisina, si è scoperto che ne sono ricchi i legumi e alcuni semi e che il suo assorbimento è esaltato dalla vitamina C (prezzemolo, peperoncino, cavoli, rucola, broccoli, ecc.) e dal magnesio, presente in gran quantità ancora nei legumi e nei semi di girasole e zucca.
Il calcio, fondamentale per la salute delle ossa, è ovviamente contenuto in grande quantità nel formaggio, primo fra tutti il grana (100 g =1169 mg di calcio mentre il latte intero ne contiene solo 119 mg). Ma — sorpresa, sorpresa — a parità di peso, la salvia contiene 600 mg di calcio, il dente di leone o tarassaco 316 mg, la rucola 309 mg, la soia secca 257 mg, le mandorle 240 mg, gli spinaci 170 mg, le nocciole 150 mg, invece noci e pistacchi 131 mg, la bietola bollita 130 mg, il radicchio verde 115 mg. Nel mondo vegetale quindi le risorse non mancano!
Inoltre gli studi scientifici affermano che le diete ricche di proteine, di sodio e l’eccessivo consumo di caffeina contribuiscono sensibilmente alla perdita di calcio con le urine, l’alcool ne inibisce l’assorbimento, mentre ortaggi e frutta e soprattutto l’esercizio fisico, rallentano la perdita di calcio dal tessuto osseo. Si stima che negli adulti il fabbisogno giornaliero è di circa 750 mg al giorno — meno di un grammo al giorno –, va da sé che se facciamo attività sportiva moderata, beviamo una adeguata quantità di acqua ogni giorno e seguiamo una dieta variata, tendente ad un limitato consumo di proteine, abbiamo fatto probabilmente tutto quanto serve per dare calcio al nostro corpo.
Per quanto concerne il ferro invece il discorso è più complesso. Non si tratta solo di capire quali sono gli alimenti che contengono sufficienti quantitativi di questo minerale, ma soprattutto quanto di quella dose di ferro è davvero assimilabile dal nostro corpo. Gli alimenti animali forniscono questo elemento in maniera facilmente assimilabile, mentre il ferro presente nei vegetali ha una scarsa fruibilità, o meglio viene assorbito molto più lentamente rispetto a quello animale. E’ vero che 100g di lenticchie contengono 7,54 mg di ferro, ma di questo ne assorbiamo solo il 4%. Vi sono però alcuni elementi che migliorano l’assorbimento del ferro: la vitamina C e l’acido ascorbico, arancia e limone per esempio, ma anche peperoni e rucola.
E’ importante insomma evitare di bere the, caffè e vino rosso in corrispondenza di un pasto ricco di ferro di provenienza vegetale, perché i tannini e alcuni acidi ne inibiscono l’assorbimento; prediligete invece frutti contenenti acido ascorbico, come il limone, con il cui succo possiamo condire per esempio degli spinaci lessi o crudi, oppure il kiwi che potremo consumare a fine pasto.
Nel caso della vitamina B12 invece, — importante per la formazione di globuli rossi, per il sistema nervoso e per quello immunitario — occorre aprire un capitolo a parte. Infatti la B12 non è sintetizzabile dal corpo umano e quindi è necessario assumerla con l’alimentazione. Essa è presente solo ed esclusivamente nella carne animale, in particolare nella carne rossa — soprattutto in fegato e frattaglie — nell’uovo e nel pollame, in crostacei, cozze e pesce azzurro.
La rara presenza di vitamina B12 nel mondo vegetale — noci e semi di girasole — non è tale da poter essere assimilata correttamente. Resta una sola strada per chi ha deciso di seguire una dieta vegetariana: assumerla in preparati specifici, secondo il dosaggio prescritto da un medico.
Ma dopo tutti i contro ci sono anche dei pro da sottolineare a favore delle proteine vegetali: sono totalmente prive di grassi saturi e colesterolo nonché di ormoni e antibiotici, tutte sostanze presenti invece nelle proteine animali.