Sono passati ormai i tempi in cui quando si parlava di proteine, indispensabili per la salute del nostro corpo, si pensava automaticamente alla bistecca. Molti di noi sono cresciuti con la convinzione che il giusto apporto di proteine non potesse che provenire dalle carni animali o dal latte e derivati.
Per le generazioni passate in Occidente e per classi emergenti nei paesi in via di sviluppo, un’alimentazione iper-proteica e ricca di grassi appariva e appare tutt’ora come una ricompensa sociale. La fine della condizione di stenti, passa anche dall’abbandono degli alimenti “poveri” e dalla presenza degli alimenti più cari sulla tavola.
Ne consegue che le proteine vegetali hanno subito così un ostracismo, che ha conseguenze pessime sia sulla salute dei consumatori che sull’ambiente. Pare proprio che la nostra impronta ecologica sul pianeta sia direttamente proporzionale ad una dieta sconsiderata, che ha imposto colture e allevamenti intensivi e creato il più alto tasso di obesità registrato negli ultimi 60 anni.
D’altra parte l’atto di mangiare coinvolge tutto il pianeta all’unisono e le dinamiche ad esso collegate sono quelle che impattano maggiormente sulla terra.
Nel Medioevo le regole alimentari legate ai calendari liturgici, che imponevano fino a 150 giornate l’anno di astinenza, penitenza e rinuncia anche dei cibi animali, hanno prodotto la convinzione che la carne e il grasso fossero il cibo per eccellenza, desiderabile e pregnante di valori e significati, primo fra tutti quello di forza e di stato sociale elevato. Ne consegue che tutto il resto invece, ossia i pesci e le verdure, — concessi nei “giorni di magro” appunto, in cui ci si poteva astenere dal digiuno — erano semplici surrogati e simboli di un livello sociale inferiore.
Tuttavia non occorre tornare così indietro nel tempo per notare come le diete che oggi ci sembrano provenire da lunghi e complessi studi, attingano invece anche all’eredità culturale di ognuno di noi: l’abitudine alimentare degli anziani delle nostre famiglie insegna che “less is more” o per dirla all’italiana, meno è meglio, molto meglio.
La stagionalità, l’uso di vegetali e legumi, i cereali integrali e in chicco, il riutilizzo degli avanzi, non abbiamo inventato nulla ma semplicemente tratto ispirazione dalla storia e dalla cultura che ci hanno formati.
Basti pensare ad alcuni dei piatti tipici regionali, come la ribollita, pasta e fagioli, la caponata e così via: per ogni regione italiana troveremo almeno un piatto a base di verdure, legumi, avanzi, a ricordare che la carne era un bene prezioso da consumare con parsimonia, perché spesso frutto di un rigoroso e dedicato allevamento nell’aia di casa, ma che altrettanto preziosi erano il cibo proveniente dalla terra e quello avanzato, inconcepibile gettarlo.
Siamo cambiati enormemente negli ultimi 60 anni e, almeno in campo alimentare, in peggio.
Eppure legumi, cereali integrali, semi oleosi e alcune verdure e frutti offrono apporti proteici di tutto rispetto.
Tra le alternative vegetali alle proteine animali non esistono solo i derivati della soia (tofu, tempeh, miso) o del frumento (seitan), vi sono i semi, in particolare le mandorle, i derivati della canapa, la quinoa, e le alghe che forniscono un dato esemplare: 1 cucchiaio di spirulina contiene 4 g di proteine. Per dilettarvi, vi invito a visionare questa pagina nella quale potrete scegliere gli alimenti in base all’apporto proteico e verificare quali altri nutrienti possiedono.
Per esempio 100 g di semi di girasole contengono le proteine (23g) corrispondenti a 100 g di pollo (22g), lo stesso dicasi per le mandorle. Certo consumare 100 g di petto di pollo è piuttosto semplice, corrisponde all’incirca ad una bistecca di pollo, mentre provate a consumare 100 g di semi di girasole in un solo pasto!
Basta però uscire dagli schemi mentali e dall’abitudine confortante di ciò che da sempre ci è stato offerto, per trovare le giuste soluzioni: un piatto di lenticchie con del riso o della pasta di frumento integrali, oppure del cavolfiore condito con salsa di sesamo e mandorle tostate, le proposte sono moltissime e variando continuamente gli alimenti si offre al corpo tutto l’apporto energetico necessario.
Ci sono poi tre fattori sui quali solitamente le diete vegetariane estreme sembrano vacillare a favore di quelle a base di proteine animali: l’assunzione di calcio, ferro e vitamina B12. Ma per approfondire questo argomento è meglio dedicare un post.
Resta il fatto che è stata sancita a livello mondiale la pericolosità del consumo di carne rosse in quanto associato allo sviluppo di cellule cancerogene. La questione era già nota ma mai ufficializzata, e ci viene da domandarci perché? Perché gli studi che toccano le sfere della salute — e quindi le lobby ad esse legate — stentano a trovare una strada comunicativa di massa, e quando ci riescono vengono spesso sminuiti se non smentiti?
Non so cosa ne pensiate voi, ma io sono convinta, come ho sempre detto, che il consumo critico debba sollevare dubbi nel consumatore. Ognuno poi troverà le risposte che gli sembrano più idonee: scelta etica come Veronesi, oppure scelta economica o ancora di qualità.
Per quanto mi riguarda, continuo a pensare che si debba limitare radicalmente il consumo di proteine animali, ma che quando si sceglie di consumarne esse almeno provengano da piccoli allevamenti biologici, rifiutando i prodotti dell’industria intensiva. Faticoso probabilmente, ma atto dovuto verso la nostra salute e il mondo che abitiamo.